Germana Sommaruga: la volontà di essere camilliana nel mondo

 

Germana e San Camillo: un amore infinito.

Nella prima lettera vi è un ultimo accenno, ma ce ne sarebbero ben altri, che riguardano il suo amore per la croce camilliana. Scrive Germana nel P.S.: “Guardi che come un giorno, quando compii i 20 anni (il 25 maggio… come il N[ostro] S[anto] Padre [Camillo], P. Ernesto m.i. mi diede la croce rossa camilliana, grande come quella delle Postulanti, così che un giorno attendo da Lei la croce grande delle novizie e poi quella delle Professe… Non se ne dimentichi, sa! Sarò bambina finché vuole, ma so che quella mia crocetta rossa me ne ha strappati di sacrifici! Se non altro è il vessillo: ed io non l’avrò mai come loro. Fiat. Mi faccia dunque prima Figlia perfetta di S. Camillo e se questo Le pare un capriccio o una bambocciata, eh via, me la perdoni!” (10 febbraio).

Nella lettera seguente del 20 febbraio, Germana ha molte questioni da sottoporre al Maestro, ma una la manifesta subito perché le sta particolarmente a cuore: a Milano, presso l’Ospedale Maggiore ci sono quattro nicchie destinate a S. Ambrogio, S, Carlo, la terza, forse, per la beata Gerosa Capitanio, dal momento che le Suore che lavorano in Ospedale sono quelle di Maria Bambina germana-6(fondate dalla stessa Beata); sembra che la quarta nicchia sia per quattro statue di arcivescovi milanesi “ma… più di 2-3 non ne hanno trovato… si vedrà, dunque!”, Bascapè suggerisce che il P. Vanti scriva al Direttore dell’Ospedale, facendo presente le benemerenze e l’azione di san Camillo a Milano[5] e quindi si potrebbe chiedere che nella 4.a nicchia venga collocata una sua statua “oppure almeno per un’invetriata, dato che sulle tre invetriate già esistenti nella chiesa della Ca’ Grande, una è appunto dedicata al Nostro. Nel frattempo bisognerà far conosce la figura e l’azione del Santo mediante immaginette, preghiere e pubblicazioni circa la Sua attività specialmente a Milano” (Ibidem). Bisognerà ricucire anche i buoni rapporti con la Curia e, in effetti, per questo interviene in favore di Camillo il solito Bascapè che intende fare delle proposte concrete all’Arcivescovo card. Schuster[6] il quale già in precedenza aveva riconosciuto l’opera benemerita di Camillo a Milano anche se, annota Germana, lo stesso cardinale “si ricorda purtroppo un po’ troppo, dato che ancora tre giorni fa – quando Bascapè Gli suggerì S, Camillo quale quarta statua da collocare nella quarta nicchia sulla facciata della cappella del nuovo ospedale – pur sorridendo, il nostro Arcivescovo ricordò: ‘Eh, fra San Camillo e la Curia Arcivescovile, c’è stato un conto da regolare…!’ ”. Per quanto riguarda una vita di San Camillo che Germana definisce sempre la “Vitina” (= piccola vita) essa è già pronta presso la redazione della Regalità e verrà pubblicata un mese prima della festa di S. Camillo[7]; è contenta perché – scrive – “abbiamo la certezza che almeno 700 copie son prenotate dalle infermiere dell’Ospedale Maggiore, e – se Dio vorrà, e benedirà ciò ch’è fatto in suo nome – molte altre copie circoleranno tra infermiere e malati. Mah? Anche questo l’ho messo nelle mani del caro Santo! Ci penserà Lui!” (20 febbraio).

L’ultima lettera di cui siamo in possesso è del 23 marzo 1937, con l’annotazione dell’orario; h. 22. Germana ha una notizia importante da comunicare immediatamente: “Padre Maestro, la 4.a statua nella 4.a nicchia ecc. è stata decisa ieri dal Card[inale Schuster ]: ‘S, Camillo!’ e sarà in compagnia di S. Ambrogio, S. Carlo e S. Galdino: buona compagnia dunque! Ne sono tanto contenta: e la prima notizia è per Lei, Padre Maestro!” La lettera continua il giorno 27 alle ore 6,00 e la gioia traspare in poche righe “il 1.° passo è fatto: S. Camillo sarà nella sua nicchia, e noi faremo in modo che tutti gli vogliano bene!”. Germana riferisce poi come, su suggerimento sempre di Bascapè intenda muoversi procurando immaginette con preghiera a s. Camillo e breve cenno della sua vita in modo che le infermiere possano già avere una prima idea sul santo e la sua opera specialmente a Milano; altra richiesta a P. Vanti è di avere “2-3 oleografie del Santo, sempre per le infermiere, da far incorniciare e appendere nella loro stanza di ritrovo, nella casa di riposo, ecc…”

Anche se Bascapè la incoraggia ad agire, in tutto questo Germana ha più di un dubbio circa la propria attività a favore di san Camillo e della sua opera: “Bascapè è attivo, ma… ma come fare?”, Lei teme infatti di interferire sull’attività dei Camilliani o di suscitare discussioni, infatti “Qui i Nostri non sanno nulla: ed è forse meglio così. Quando indirettamente vengono a sapere qualcosa si commenta e allora mi sgomento, vorrei cedere le armi, perché mi pare d’essere un’estranea, un’intrusa nell’Opera, e come se invadessi il campo non mio”. Ed esprime ancora una volta il suo desiderio: “Avrei bisogno dell’appoggio d’uno dei Nostri di qui; uno che lavori con me ed equilibri le mie attività” e continua poi colloquiando con il suo Maestro: “Non le pare una cosa piuttosto azzardata ch’io che non son nulla, neppure infermiera, lavori qui a Milano in un campo che spetterebbe esclusivamente a un Camilliano?”[8]. Riferisce allora come diverse persone desidererebbero vedere, almeno ogni tanto, “una croce rossa, un camilliano, almeno per visitare l’ammalato”, inoltre fa riferimento ai sacerdoti dell’Ospedale che “sarebbero contenti di veder le infermiere unite sotto la guida di S. Camillo” e rivolge una supplica al suo direttore di spirito: “Cerchi Lei la volontà di Dio su di me, e quale dev’essere la mia azione e attività per servire l’Ordine. E si ricordi che (…) ho voto d’obbedienza cieca, e che quindi può comandare.

A questo punto, una ‘sorpresa’ che mi sembra proprio profondamente camilliana, nell’interrompere la lettera: “Smetto: devo andare all’Osp[edale] Fatebenefratelli: ogni mattina, prima della Comunione, vado dalle mie malate: è il mio preparamento! Padre Maestro, quando potrò essere M.I.? quanti anni ancora ci vorranno? Mi prepari e renda degna”.

La lettera continua poi ex Universitate, h. 11½, mettendo al corrente dei suoi progetti di laurea. L’Assistente universitario che la segue nel lavoro riconosce che il compito è vasto e interessantissimo quindi la sprona a continuare dal momento che “se uno studente può far una tesi simile questo son io che tanto amo l’Ordine” e Germana commenta “Tanto? Questo sì, Padre Maestro, e Dio solo sa quanto!”.

La lettera, nel finale, riporta un altro episodio significativo: si tratta della possibile visita del P. Generale di passaggio a Milano e Germana chiede consiglio: “Mi dica, Padre, sarebbe possibile salutarlo, il nostro Generale? Io non so, non oso: mi sento tanto timida con P. Rubini, e insieme tanto spontanea; e non oso, perché so che non saprei dirgli il bene che mi lega all’Ordine, la devozione che provo” e continua “mi pare che da un momento all’altro Lui possa giustamente dirmi ch’io non c’entro, che stono, che mi illudo d’esser M.I…” e per questo si riconosce un po’ strana: “Che grullina sono, nevvero Padre? Mi perdo in piccinerie, invece di lavorare di prepararmi! Ma Lei mi perdoni, sa, perché dopo tutto se sragiono è proprio per colpa del bene mio per l’Ordine – nell’incubo di esser proprio un servo inutile e infedele, non solo scacciato fuori ma…” e qui Germana si ferma con un “Basta!”.

 

Brevi annotazioni.

GERMANA-11Le lettere di Germana che abbiamo nell’Archivio Generale, sono certamente preziose sia da un punto di vista documentativo che contenutistico. Si tratta di scritti personali di Germana nel periodo iniziale della Sua ‘idea’ per una vocazione laicale camilliana vissuta nel servizio al malato. Una vocazione vissuta quindi non in un convento, ma nel mondo e, in un certo senso, più vicino alle persone.

I testi riportati – ben pochi, rispetto a quanto presente nelle stesse lunghissime lettere – denotano una profonda decisione nel voler seguire lo spirito di San Camillo ed il servizio all’Ordine da lui fondato.

Il carattere dimostrato in queste righe è quello di una persona che sa dove arrivare, ma che rimane anche turbata dalle difficoltà in famiglia e altrove ma, soprattutto, perché si sente ‘indegna’ di un’opera che considera superiore alle proprie forze: da questo derivano la sua umile richiesta di perdono per il suo carattere impulsivo, ma anche la ricerca di aiuto nei consigli e, soprattutto nella preghiera personale e altrui.

Germana, assomiglia – in questi scritti – a quel tale che ha trovato un tesoro prezioso e, per tale motivo, tutto il resto passa in secondo ordine mentre la fiducia in Dio e in san Camillo non viene mai a mancare e, in loro e con loro, trova forza e coraggio per proseguire il cammino iniziato già fra tante difficoltà.

Varrebbe la pena approfondire il ruolo avuto dai diversi Camilliani che Germana cita in questa corrispondenza ma, al momento, non ci risultano fonti sufficientemente valide da citare con sicurezza.

Le cinque lettere a P. Mario Vanti sono ben poco rispetto a tutto ciò che è stato prodotto attraverso gli scritti di questa antesignana del mondo laicale, ma i piccoli particolari presentati ci fanno esclamare con gioia: Germana… sei veramente grande!

Eugenio Sapori m.i.

 

P.S.: Per informazioni circa l’Istituto secolare fondato da Germana, cfr. il sito internet

www.ist-sec-mdi-cristosperanza.org

[1] P. Mario Vanti, veronese, nato il 15 luglio 1896, fu ordinato sacerdote il 22 febbraio 1920. Fu superiore delle Case di Cremona, Roma-San Camillo e S. Giovanni della Malva. Nel 1935 conseguì la laurea in storia ecclesiastica presso la Pontificia Università Gregoriana. Dal 1935 al 1940 esercitò l’ufficio di postulatore generale. Dal 1929 diresse il Domesticum. Morì a Cremona il 19 febbraio 1978. L’opera letteraria di P. Vanti è particolarmente vasta e sparsa in libri, opuscoli, numeri unici, giornali e riviste . Manca tuttora un completo elenco bibliografico. Un catalogo delle principali opere in: P. Sannazzaro, Bibliografia di P. Mario Vanti, in CIC 8 (1978, 99-101); AA. VV., P. Mario Vanti, in “Vita nostra” 29 (1978, 129-146).

[2] Scrive infatti Germana il 10 gennaio:” (…) Lei è buono , aggiungendo quell’M.I. nelle buste: per me è stato un dono, una gioia: sono andata da Gesù, e gli ho detto che ne son indegna. Ma è una gioia…”

[3] Pubblicò alcune opere di carattere poetico-mistico, come ad esempio: Sacra miniera onde l’anima devota può cavare l’oro infocato della carità verso Dio ed il prossimo (Napoli 1642); si tratta di poesie varie. Affettuosi colloqui dell’anima amante col suo celeste sposo Gesù (Genova 1648) e Risvegliamenti amorosi per destare l’anima dal sonno della tepidezza ed accenderla nel divino amore.

[4] Insieme alle lettere che stiamo commentando, c’è in Archivio – nello stesso faldone – un altro manoscritto: Germana Maria Sommaruga m.i., Il primo decennio della Fondazione dei Ministri degl’Infermi in Milano (1594-1603), Università del Sacro Cuore, Facoltà di Magistero. Lettere, Aprile 1936, 61pp.

[5] In effetti il P. Vanti, in data 1 marzo 1937, scriverà al Presidente dell’Ospedale Maggiore di Milano, per illustrare l’opera di carità di Camillo e dei Camilliani a Milano, con la testimonianza anche dalla “Regola… per servire i poveri infermi con ogni perfettione” da Lui stesso dettata per l’Ospedale di Milano divenendo d’allora in poi la ‘magna charta’ della Riforma Ospedaliera in Italia

[6] Alfredo Ildefonso Schuster, O.S.B., (Roma, 18 gennaio 1880Venegono Inferiore, 30 agosto 1954) è stato nominato da Papa Pio XI arcivescovo di Milano il 26 giugno 1929 ed insignito della berretta cardinalizia il 15 luglio 1929. Fu arcivescovo di Milano dal 1929 al 1954. È stato proclamato beato da Giovanni Paolo II nel 1997.

[7] Come, in effetti, risulta: Sommaruga Germana, S. Camillo de Lellis: l’apostolo degli infermi, Opera della Regalità di N. S. Gesù Cristo, Milano 1937, Suppl. al n. 5 di “Sanctificatio nostra”, maggio 1937. L’opera è illustrata e porta 29 pagine di testo.

[8] Vale la pena sottolineare che, proprio dal 1937, ci sarà al Suo fianco – con molta discrezione – il P. Angelo Carazzo m.i. di cui Germana, al termine di ogni lettera, si ricorda sempre e prega P. Vanti di portare i propri saluti; scrive, ad esempio, il 27 gennaio: “ A P. Carazzo il mio grazie rinnovato; non me l’aspettavo proprio la sua cartolina! Un giorno o l’altro mi deciderò a mandare anche a Lui direttamente un salutino; voglia dirgli intanto che gli prometto proprio di lavorare per il N.S. Padre [Camillo], così come gli promisi, ricordo, quasi tre anni fa, quando mi diede una certa medaglietta di S. Camillo”. P. Angelo Le promise il suo appoggio: fu l’animatore, sostegno, guida spirituale non solo per Lei ma anche per le prime vocazioni. Io stesso, a distanza di molti anni, ho potuto cogliere il ricordo filiale e la devozione per il Carazzo in molte MICS, durante la celebrazione dell’Eucaristia. Speriamo che con gli anni, venga messo in risalto anche la Sua opera, umile e discreta, nel cammino spirituale di Germana, come pure la Sua opera all’interno dell’Ordine Camilliano. P. Angelo, nato nel 1873, fu superiore in diverse case della Provincia Lombardo-Veneta, Superiore Provinciale (1910-1913; 1920-1926;1932-1935); Consultore Generale (1926-1932; 1935-1937); confondatore dell’Istituto Secolare « Missionarie degli infermi ». Per ulteriori informazioni che riguardano P. Carazzo cf. Corghi E., Quaderni di storia della Provincia Lombardo –Veneta (Camilliani), III, Sintesi storico-statistica nel centenario della Fondazione (1862-1962), Edizioni del Centenario, Verona 1964.