Famiglia Carismatica Camilliana – Giorno di spiritualità: Dio è fedele, fidiamoci di lui (S. Camillo)

 di p. Patrizio SCIADINI OCD

“Dio è fedele, fidiamoci di lui” (S. Camillo)

In questi giorni del vostro incontro ascolterete molte conferenze che vi aiuteranno pastoralmente e scientificamente nella vostra missione vicino agli ammalati. Il giorno di spiritualità non si preoccupa tanto dell’aspetto dottrinale, ma del mettersi in ascolto della Parola di Dio che ci provoca per affrontare le sfide dell’oggi e attualizzare il messaggio di Gesù che è venuto a guarire tutta la persona umana: lo spirito, il cuore e il corpo. Chiediamo al Signore che invii la sua luce per questo incontro di ascolto del Dio che ci ama. La piccola metodologia che vorrei usare è la seguente:

Facciamo cinque minuti di lettura personale, silenziosa e amorosa del testo che noi mediteremo.

Stasera affronteremo il testo della Samaritana:

Quando il Signore venne a sapere che i farisei avevano sentito dire: Gesù fa più discepoli e battezza più di Giovanni – sebbene non fosse Gesù in persona che battezzava, ma i suoi discepoli -, lasciò la Giudea e si diresse di nuovo verso la Galilea. Doveva perciò attraversare la Samaria. Giunse pertanto ad una città della Samaria chiamata Sicàr, vicina al terreno che Giacobbe aveva dato a Giuseppe suo figlio: qui c’era il pozzo di Giacobbe. Gesù dunque, stanco del viaggio, sedeva presso il pozzo. Era verso mezzogiorno. Arrivò intanto una donna di Samaria ad attingere acqua. Le disse Gesù: «Dammi da bere». I suoi discepoli infatti erano andati in città a far provvista di cibi. Ma la Samaritana gli disse: «Come mai tu, che sei Giudeo, chiedi da bere a me, che sono una donna samaritana?».

I Giudei infatti non mantengono buone relazioni con i Samaritani. Gesù le rispose: «Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è colui che ti dice: “Dammi da bere!”, tu stessa gliene avresti chiesto ed egli ti avrebbe dato acqua viva». Gli disse la donna: «Signore, tu non hai un mezzo per attingere e il pozzo è profondo; da dove hai dunque quest’acqua viva? Sei tu forse più grande del nostro padre Giacobbe, che ci diede questo pozzo e ne bevve lui con i suoi figli e il suo gregge?». Rispose Gesù: «Chiunque beve di quest’acqua avrà di nuovo sete; ma chi beve dell’acqua che io gli darò, non avrà mai più sete, anzi, l’acqua che io gli darò diventerà in lui sorgente di acqua che zampilla per la vita eterna». «Signore, gli disse la donna, dammi di quest’acqua, perché non abbia più sete e non continui a venire qui ad attingere acqua». Le disse: «Va’ a chiamare tuo marito e poi ritorna qui». Rispose la donna: «Non ho marito».

Le disse Gesù: «Hai detto bene “non ho marito”; infatti hai avuto cinque mariti e quello che hai ora non è tuo marito; in questo hai detto il vero». Gli replicò la donna: «Signore, vedo che tu sei un profeta. I nostri padri hanno adorato Dio sopra questo monte e voi dite che è Gerusalemme il luogo in cui bisogna adorare».

Gesù le dice: «Credimi, donna, è giunto il momento in cui né su questo monte, né in Gerusalemme adorerete il Padre. Voi adorate quel che non conoscete, noi adoriamo quello che conosciamo, perché la salvezza viene dai Giudei. Ma è giunto il momento, ed è questo, in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità; perché il Padre cerca tali adoratori. Dio è spirito, e quelli che lo adorano devono adorarlo in spirito e verità». Gli rispose la donna: «So che deve venire il Messia (cioè il Cristo): quando egli verrà, ci annunzierà ogni cosa». Le disse Gesù: «Sono io, che ti parlo». In quel momento giunsero i suoi discepoli e si meravigliarono che stesse a discorrere con una donna. Nessuno tuttavia gli disse: «Che desideri?», o: «Perché parli con lei?».

La donna intanto lasciò la brocca, andò in città e disse alla gente: «Venite a vedere un uomo che mi ha detto tutto quello che ho fatto. Che sia forse il Messia?». Uscirono allora dalla città e andavano da lui. Intanto i discepoli lo pregavano: «Rabbì, mangia». Ma egli rispose: «Ho da mangiare un cibo che voi non conoscete». E i discepoli si domandavano l’un l’altro: «Qualcuno forse gli ha portato da mangiare?». Gesù disse loro: «Mio cibo è fare la volontà di colui che mi ha mandato e compiere la sua opera. Non dite voi: Ci sono ancora quattro mesi e poi viene la mietitura? Ecco, io vi dico: Levate i vostri occhi e guardate i campi che già biondeggiano per la mietitura. E chi miete riceve salario e raccoglie frutto per la vita eterna, perché ne goda insieme chi semina e chi miete. Qui infatti si realizza il detto: uno semina e uno miete. Io vi ho mandati a mietere ciò che voi non avete lavorato; altri hanno lavorato e voi siete subentrati nel loro lavoro».

Molti Samaritani di quella città credettero in lui per le parole della donna che dichiarava: «Mi ha detto tutto quello che ho fatto». E quando i Samaritani giunsero da lui, lo pregarono di fermarsi con loro ed egli vi rimase due giorni. Molti di più credettero per la sua parola e dicevano alla donna: «Non è più per la tua parola che noi crediamo; ma perché noi stessi abbiamo udito e sappiamo che questi è veramente il salvatore del mondo» (Gv 4,1-42).

LA SAMARITANA E IL SAMARITANO: CUORE E MANI INSIEME

Ringrazio il mio fratello ed amico di molti anni, p. Leo Pessini, camilliano, e Sr. Zelia Andrighetti, camilliana, sorella e amica di molti anni, per questo invito a stare un giorno con la Famiglia Carismatica Camilliana, per meditare insieme due icone del Nuovo Testamento: la samaritana (Gv 4) e il samaritano (Lc 10).

Due testi evangelici che hanno sempre avuto una forza dottrinale-pratica nella vita della Chiesa, sia nella pastorale e sia nella spiritualità. Non si può leggere questi relati evangelici senza sentirsi – in CAMMINO alla ricerca della vera acqua nascosta nel fondo del pozzo, né senza cercare il volto sofferente di Gesù nascosto nel MALATO della parabola del Samaritano.

Il Vangelo non è un “museo” di quadri che sono lì per essere ammirati, né tantomeno un “cimitero” dove andiamo a visitare quello che è stato, ma una “giardino vivo” dove contempliamo e attualizziamo la vita.

La Parola di Dio deve rinnovarci, attualizzarci nella vita e nella missione, nella pastorale, e allo stesso tempo ci sentiamo noi stessi a fare l’ESPERIENZA PERSONALE della verità della Parola di Dio che come spada a due tagli… “Infatti la parola di Dio è viva, efficace e più tagliente di ogni spada a doppio taglio; essa penetra fino al punto di divisione dell’anima e dello spirito, delle giunture e delle midolla e scruta i sentimenti e i pensieri del cuore. Non v’è creatura che possa nascondersi davanti a lui, ma tutto è nudo e scoperto agli occhi suoi e a lui noi dobbiamo rendere conto.

Gesù, un sommo sacerdote in grado di compatire. Poiché dunque abbiamo un grande sommo sacerdote, che ha attraversato i cieli, Gesù, Figlio di Dio, manteniamo ferma la professione della nostra fede. Infatti, non abbiamo un sommo sacerdote che non sappia compatire le nostre infermità, essendo stato lui stesso provato in ogni cosa, a somiglianza di noi, escluso il peccato. Accostiamoci dunque con piena fiducia al trono della grazia, per ricevere misericordia e trovare grazia ed essere aiutati al momento opportuno” (Eb 4,12-16).

Non possiamo essere discepoli e missionari di Gesù senza la spiritualità e senza le opere. Il Vangelo non ci salva perché lo impariamo a memoria, o perché facciamo una bella e innovatrice esegesi, ma perché diventa nostra vita. I Santi – ci ricorda il documento post sinodale sulla parola di Dio Domini Verbi – sono la più bella esegesi del Vangelo. Senza dubbio i santi e sante camilliani avendo come educatore san Camillo hanno vissuto la ricerca del Dio vivo al pozzo di Samaria, e del Dio sofferente nei fratelli e sorelle, incappati nei ladri che gli hanno lasciati mezzo morti sul ciglio della strada della vita.

Mi si permetta di citare Teresa d’Ávila, dottore della Chiesa, mistica, che nella più alta contemplazione non ascolta Dio che gli dice – più preghiere vuole il Signore – ma ascolta quello che gli è detto OPERE VUOLE IL SIGNORE…

Le opere portano alla preghiera e la preghiera è fonte delle opere. Credo che possiamo intendere le parole di san Camillo – più cuore in quelle mani – come più preghiera per avere la delicatezza nelle mani per attendere gli ammalati.

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