L’urto con la sofferenza è un appuntamento che ineluttabilmente presto o tardi si incontra nel corso dell’esistenza. Anche il cristiano come qualsiasi altra persona non ne è esente, eppure gode d’un vantaggio che non è dato a tutti. Il suo non è un dolore muto, ha la voce della preghiera. Ma non si ferma a questa, è sospinto a scelte operative. Sull’esempio del samaritano va e fa, consapevole che le invocazioni senza le opere sono stonate. Fanno pensare alle due figure evangeliche del levita e del sacerdote che compaiono accanto al samaritano. Vedono il ferito ma proseguono il cammino indisturbati, probabilmente diretti al tempio per pregare. L’apostolo Giovanni ricorda: “figlioli, non amiamo a parole né con la lingua, ma con i fatti e nella verità”. Di fronte alla sofferenza il cristiano è invitato a pregare ma soprattutto alla cura. Sarebbe sbagliato pretendere da Dio quello che possiamo fare noi. La cura si adatta ad una molteplicità di interventi. Non è riservata a specialisti. Interessa tutti i rapporti interpersonali e l’intero tempo della nostra giornata. Si colloca perciò a bassa quota, ha però il vantaggio di toccare la realtà modesta del quotidiano.
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