Convegno internazionale dei religiosi camilliani cappellani ospedalieri – 2 Giorno

5 novembre 2016

grp work3            La giornata si è aperta con la preghiera: la celebrazione delle Lodi mattutine in primis, cui è seguita la celebrazione eucaristica, presieduta da p. Frank Monks. Nell’omelia, p. Monks ha ribadito due concetti, relativi a carisma camilliano e impegno dei religiosi cappellani, già enunciati ieri nella sua relazione.

La motivazione principale dell’impegno di cappellania sta molto semplicemente (ma profondamente) radicata nell’opera stessa di Gesù di Nazaret che annunciava il suo Vangelo e insieme guariva i malati e i sofferenti: parola e opere strettamente unite. I Camilliani devono mettere al centro del carisma e della propria vocazione l’opera stessa di Gesù, quello che Egli faceva.

Nell’Ordine e nelle opere dello stesso ci sono novità importanti, inderogabili; ma esiste anche il pericolo che si dimentichi l’uomo di preghiera, il mistico. Ci si dimentica che san Camillo era sì uomo d’azione, ma la sua azione era supportata da un intenso e profondo rapporto con il Signore; è Gesù al centro della sua azione. La preghiera era il suo cibo quotidiano.

Allora, ha proseguito p. Monks, occorre che, con una similitudine ardita, in ciascuno dei Camilliani convivano e il Buon Samaritano (l’uomo che opera per il bene del prossimo sofferente), ma anche la Samaritana, colei che interroga Gesù, che vuole sapere chi sia Colui che le chiede inaspettatamente da bere. La donna alla quale Gesù svela se stesso, così che possa fare “esperienza” di Dio. Senza una profonda esperienza di Dio, di una vita mistica, senza un’intensa vita nello Spirito si rischia di essere soltanto puri operatori.

  La prima relazione della giornata è stata affidata a Rosabianca Carpene, operatrice sanitaria di professione, ma oggi parte della cappellania ospedaliera dell’Ospedale civile di Verona, già presidente internazionale della Famiglia Camilliana Laica. Il titolo della relazione è: «Il mondo in cui operiamo: “le gioie e le tristezze del mondo della salute sono le nostre  gioie e le nostre tristezze”» con palese riferimento al punto 1 della Gaudium et Spes. Se si potesse dare un sottotitolo a questo intervento potremmo dire così: “Relazione da cuore a cuore”.

In effetti, Rosabianca Carpene ha abbondantemente tratto dalla sua esperienza personale, mettendo però questa a confronto con il carisma camilliano (da lei conosciuto in età giovanile, assunto come linea guida nella sua professione e divenuto poi fondamento della sua spiritualità come appartenente e responsabile della F.C.L.) e con l’operatività e spiritualità degli appartenenti all’Ordine, in particolare con quelli impegnati come cappellani ospedalieri.

Molti sono stati i punti toccati. Il primo ha ripreso il tema del cuore “ambito e sostanza della vita di ciascuno, della vita del credente, del discepolo del Signore Gesù, che mette il proprio cuore come esperienza umana fondamentale” nelle relazioni vissute con il prossimo, in particolare con il prossimo sofferente.

Un secondo punto ha riguardato il mondo della salute, definito “universo, mondo grande” vissuto da punti di vista diversi, da quello dell’operatore a quello del volontario o del cappellano; un mondo che per un Ministro degli Infermi è per vocazione divenuto centro della vita. Un mondo fatto di persone, non di esseri anonimi. Persone che al centro hanno un cuore, con il quale anche il nostro si mette in comunicazione nella misura in cui sentiamo di essere amati.

          Essere cristiani significa vivere e formare una comunità nella quale la comunicazione non sia superficiale, ma diventi relazione: quotidiana, semplice, feriale. Questo è soprattutto importante per chi vive in un ambiente carico di sofferenza come l’ospedale.

grp work1            La relazione personale è quindi al centro di ogni impegno; “le gioie e le tristezze” del mondo che si avvicinano diventano le nostre gioie e le nostre tristezze, con la sofferenza a volte di sentirci impotente.

In questa qualità di relazione abbiamo un esempio importante in papa Francesco che, anche in mezzo a folle che lo strattonano, trova sempre il modo di avvicinare personalmente chi vede nella sofferenza: in quel momento sembra che chi ha davanti sia un “unicum”.

Anche con Dio avviene così: come c’insegna la Parola, Dio si prende cura del suo popolo che soffre e manda un liberatore, profeta o condottiero che sia.

Gesù annuncia con la vita e con le opere il Vangelo e anch’egli “manda” i discepoli perché continuino la sua opera di annuncio. Gesù e i suoi annunciano (la Parola) e ospitano (l’azione). La loro accoglienza dei pellegrini (anche noi stessi) non si limita a dare il necessario per sopravvivere, ma anche quello che potrebbe essere giudicato superfluo, fanno intravedere l’“oltre”, il trascendente.

Il nostro convegno, che offre l’opportunità a religiosi venuti da ogni part del mondo, quindi con background sociali e culturali spesso molto diversi, ma strettamente uniti dal medesimo carisma, è occasione “unica” per un ascolto reciproco, per uno scambio di esperienze, per condividere fraternamente anche il pane, per pregare insieme.

Per tutti, alla base, è l’esperienza targata “Camillo” della vita accanto, della vita donata ai malati; come il Fondatore, il destino camilliano è di consumarsi letteralmente in questo servizio; un santo, quello di Bucchianico, che ha riformato l’assistenza sanitaria, iniziatore “di una nuova scuola di carità”, iniziatore della difficile avventura accanto ai sofferenti; un maestro, una fonte alla quale tornare ad abbeverarsi. Un uomo cui lo Spirito ha donato un carisma che non può essere lasciato morire.

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