Fonte: settimananews.it
Dal 1-3 marzo 2018 all’Università Antonianum (Roma) si è svolto il convegno dal tema Consecratio et consecratio per evangelica consilia organizzato dalla Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica (CIVCSVA). Erano presenti un centinaio di teologi, fra i più noti nell’ambito della vita consacrata: da F. Ciardi a N. Hausman, da G. Ghilanda a J. García Paredes, da M. Sedano Sierra a G. Rocca, da B. Secondin a R. Zas Friz De Col, da M. Schlosser a X. Larrañaga. Le relazioni e i dibattiti del seminario internazionale erano in quattro lingue e gli intervenuti arrivavano dal mondo intero.
Oggetto di riflessione e di confronto è stato il termine “consacrazione” o, meglio, quanto esso sia in grado di identificare nella Chiesa il vasto mondo dei religiosi e religiose (circa un milione e mezzo, per oltre il 70% donne; e altrettanti in capo ad istituti non pontifici, ma diocesani), di definirne le identità ecclesiali e di contenere le molte forme e gli innumerevoli carismi che lo abitano. Si può forse tradurre la ricerca in queste domande: qual è l’identità dei religiosi nella Chiesa, dal momento che non sono più uno «stato di perfezione» e la chiamata alla santità è per tutti? Il termine che tutti li vorrebbe contenere (“consacrazione”) è davvero in grado di farlo? L’esplosione delle forme carismatiche nuove (movimenti, comunità, fondazioni nuove) come si colloca di fronte ai religiosi di cui spesso assumono molte caratteristiche? Il tutto in preparazione a un più vasto convegno a Roma fra qualche mese.
Fuori dal mondo?
Da un lato, vi è una ricerca teologica sull’identità dei religiosi oggi, dall’altro, un’esigenza pratica per governare un fenomeno non privo di possibili ambiguità e contraddizioni. Gli scandali legati ad alcune delle nuove fondazioni potevano essere evitati? E da parte di chi?
È indicativo che, sul finire dei tre giorni, mons. Carballo abbia informato l’assemblea del prossimo cambiamento di alcune norme giuridiche. Le nuove fondazioni diocesane, numerosissime in Africa e non solo, dovranno avere un parere previo obbligatorio da parte della Congregazione. Il suggerimento di vincolare i vescovi ad alcuni criteri non è invece passato per non porre limiti alla loro autorità. Rispetto agli istituti tradizionali si prevede la possibilità di dimettere un religioso o una religiosa che abbia abbandonato la comunità per un anno senza darne giustificazione ai superiori.
Il profilo scientifico delle otto relazioni (e altrettante contro-relazioni), la diversità degli approcci (canonico, biblico, storico, antropologico, teologico, ecclesiologico) e l’ampio spazio concesso al dibattito implodevano sulla ricerca di un termine di identificazione, dando un’impressione (sbagliata) di estraneità rispetto al contesto culturale e civile.
Se, in metropolitana o per strada, si fosse interrogato qualcuno sul significato di comunità, la risposta sarebbe caduta sulle comunità terapeutiche o sulle community dei social; i voti sarebbero stati quelli scolastici; la consacrazione quella di XFactor o delle medaglie olimpiche; la missione o meglio mission quella delle aziende. L’abissale distanza linguistica è il segnale della difficile comunicabilità della vita consacrata.
Le discussioni potevano sembrare lontane anche dal vissuto reale delle religiose e dei religiosi: invecchiamento, scarsità vocazionale in Occidente, spostamento a Sud, inculturazione dei carismi, scandali, nuove frontiere ecc. In realtà, i cenni di contestualizzazione, i rapporti personali, gli scenari evocati dalle riflessioni erano molto consapevoli delle dimensioni pratiche del vissuto.
Norme felici
Riconoscere un’identità e costruire attorno ad essa una struttura giuridica adeguata sono condizioni fondamentali per il futuro. Si può ricorrere a una singola parola o a un insieme di termini, l’importante è che l’efflorescenza dei carismi collettivi non sia dispersa per mancanza di discernimento o non sia soffocata per incapacità del diritto.
Associazioni, gruppi, comunità, movimenti: «è chiaro che oggi non esiste una definizione di questo fenomeno associativo ecclesiale da parte del legislatore o accettata dai diversi autori che investigano sul tema per la novità e la ricchezza delle loro diverse manifestazioni» (R. Pérez Sanjuán).
«Il continuo ricorso all’analogia con gli istituti di vita consacrata, quando sono eretti come associazioni di fedeli con determinate caratteristiche, indica l’insufficienza dell’attuale normativa universale».
Ma, fa notare A. Pedretti in Commentarium pro religiosis (n. 98, 2017, p. 331): «Se è possibile vivere canonicamente e teologicamente come consacrati fuori dal trattato del can. 573, il rischio è quello di due ordini di consacrati. Così, chi rinuncia alla tutela canonica, restando tra le associazioni, gode della necessaria libertà carismatica, con la conseguenza per la Chiesa di non poter verificare in tutta la sua forza il carisma di riferimento».
Fedeli al Concilio
Esce del tutto confermato il quadro del Vaticano II: dalla chiamata universale alla santità alla collocazione ecclesiale, dalla centralità del carisma al rapporto col ministero, dal servizio al mondo alla testimonianza personale e comunitaria. E il guadagno del magistero successivo, così sintetizzato da B. Secondin: «il protagonismo di Dio consacrante, la gradualità della consacrazione, la relazione fra consacrazione e l’ispirazione carismatica del fondatore/carisma proprio di un istituto, la natura sacramentale della vita consacrata, l’aspetto chiaramente sponsale della consacrazione, la dialettica chiamata-risposta, l’esplicitazione articolata della dimensione apostolica e profetica, il rapporto fra consigli e radicalismo evangelico, l’azione mediatrice della Chiesa sia in campo liturgico che giuridico/istituzionale, la relazione col mistero della redenzione e il contesto culturale, la concretizzazione in percorsi esistenziali differenti dell’unica esperienza fondamentale, il ruolo di rappresentanza della Chiesa-sposa di fronte al Cristo-sposo ecc.». Con l’attenzione a non far riemergere nel «di più» della consacrazione religiosa forme vecchie di elitismo, di sacralità, di corsie riservate.
Altra conferma, fissata dall’esortazione apostolica Vita consecrata, è l’appartenenza della vita religiosa alla vita e alla santità della Chiesa, elemento irrinunciabile e qualificante della sua natura. Non quindi una semplice struttura nella Chiesa, ma una struttura della Chiesa (G. Ghirlanda).
Per semplicità di racconto e di memorizzazione, si possono disporre le riflessioni del seminario su due versanti. Nel primo, il termine “consacrazione” dà spazio a una concezione di vita consacrata di tipo sistematico, normativo, teologicamente strutturato, escludente. Insomma, una consacrazione che funziona come «cappello» per molte teste (l’immagine è di Ciardi).
Nel secondo, la consacrazione e l’identità religiosa assumono un tratto narrativo, carismatico, vitale-pneumatologico, filocalico, includente. Insomma, «senza cappello».
Nel primo, si evidenzia la linea canonica-istituzionale, nel secondo, quella storico-carismatica. Spesso le due linee si sovrapponevano nello stesso autore.
Le due linee
Se il sinodo del 1994 ha progressivamente insistito sull’espressione “consacrazione”, qualificandola come speciale, più perfetta, a speciale titolo, capace di esprimere la totale consacrazione a Dio e da parte di Dio, celebrata in un atto liturgico in cui si emettono i voti nella Chiesa, l’esortazione apostolica successiva conferma autorevolmente l’indirizzo.
Si tratta di una vocazione speciale e distinta, approfondimento di quella battesimale, ma con una peculiarità ulteriore, frutto di un dono dello Spirito (G. Ghirlanda). «La riflessione teologica attuale sembra orientarsi a questa convinzione: la consacrazione come elemento costitutivo o categoria teologica fondamentale per intendere rettamente» la vita consacrata (mons. Carballo).
La vita religiosa è presente nella Chiesa fin dai primi secoli, regolarmente confrontata con l’esigenza di una qualche istituzionalizzazione. Già con Basilio di Cesarea (IV sec.) si propone, nella Grande regola, una professione di verginità. Nella vita monastica precedente era già in vigore, ma Basilio sente l’esigenza di una vera promessa fatta davanti a testimoni (M. Sedano).
Progressivamente, ma mai in senso esclusivo, emergono come identificazione i voti di castità, povertà e obbedienza, a cui Tommaso conferisce un segno di perennità e stabilità. Il concilio tridentino e il magistero successivo li confermerà.
I voti si collocano alla confluenza della tradizione orientale e occidentale, del carattere di offerta e di oblazione, da un lato, e di quello della promessa e del contratto, dall’altro. Ancora oggi la liturgia conserva il carattere oblativo e cultuale e la regola l’elemento della promessa pattuita. Per un millennio non hanno avuto la centralità che oggi rivestono, anche se mai in forma esclusiva. È stato Tommaso d’Aquino a dare loro una sistemazione complessiva, candidandoli a interpretare in maniera eccellente le dimensioni antropologiche di fondo.
Ma non solo. Come ha notato N. Hausman, la visione trinitaria della Vita consecrata fa di essi un modo di leggere Dio stesso: l’amore che unisce le Persone, la loro infinita ricchezza (povertà), la luminosa paternità di Dio e la mutua corrispondenza dei Tre (obbedienza).
Consacrazione e Bellezza
Ma i voti non sono spesso all’origine delle intuizioni carismatiche dei fondatori.
Ciardi ha ricordato che sopraggiungono dopo. «Non è la professione dei tre voti che storicamente ha creato la via consacrata. Sono altri i motivi ispiratori e originati che stanno alla sua radice: il desiderio di una lode incessante, la ricerca di Dio, la preghiera di intercessione, il servizio ai poveri e agli ammalati, l’annuncio della conversione e del regno di Dio, la catechesi e la formazione dei giovani…». I racconti, più che i concetti, sembrano in grado di custodire il dono spirituale di ciascuna famiglia.
Del resto, ha ricordato M. Sessa, l’impossibilità di un ancoraggio verbale alla Scrittura suggerisce il «superamento di un modello cristologico cristallizzato e presentato come un punto di partenza immediato, ma come un cammino, come una tensione strutturale che, dalle figure antiche e neotestamentarie, arriva a contemplate il Compimento», cioè Cristo.
Il rifermento alla vita consacrata come elezione – già suggerito dalla Clar (religiosi latino-americani) – tende non a limare le diseguaglianze, ma ad esaltare le differenze. L’eletto è oggetto di benedizione in maniera assolutamente gratuita, e diviene portatore di una benedizione destinata a tutti. Riconoscendo la sua inadeguatezza, tutti possono identificarsi con lui e scoprire anch’essi di essere eletti e benedetti. «Si potrà allora comprendere appieno la povertà solo partendo dalla benedizione della ricchezza, la castità dalla benedizione della nuzialità feconda, l’obbedienza dalla benedizione dell’ascolto, come discernimento tra vera e falsa profezia» (M. Sessa).
«Mi sembra da privilegiare un’elaborazione teologica della vita consacrata che parta dal dato storico e lo interpreta… ha per oggetto una realtà storica per natura, un vissuto, una molteplicità di esperienze che devono essere tenute costantemente presenti» (F. Ciardi).
Il monachesimo, anche contemporaneo, fa fatica a riconoscersi compiutamente nella “consacrazione” e nei voti (G. Dossetti).
E il fiorire delle novità, dal neo-monachesimo ai movimenti ecclesiali, da comunità ecumeniche a famiglie ecclesiali, preme su confini normativi che non sembrano più adeguati (M. Bevilacqua).
García Paredes suggerisce di collocare la consacrazione entro la categoria dell’alleanza, di un Dio che cerca l’uomo e di un uomo che cerca Dio. I consigli diventano il segno della fedeltà davanti ai pericoli dell’idolatria (potere, sesso, denaro). Sapendo che la consacrazione carismatica si collega e si alimenta della consecratio continua nei sacramenti e dell’infinita varietà carismatica sollevata dallo Spirito. Più che preoccuparsi dei concetti, si apre a una creazione continua con una spiritualità narrativa che non identifica lo Spirito con una sola istanza. «La consacrazione è il risplendere della Bellezza divina in noi. La Bellezza unifica la varietà, non la sopprime».
Difficile pensare che il seminario traghetti norme e teologie decisamente oltre la “consacrazione”, ma ha testimoniato l’enorme ricchezza di vita e di riflessione che la parola a stento racchiude.
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