Se qualcuno un giorno volesse scrivere l’enciclopedia dell’elemosina non dovrebbe fare altro che trascorrere una giornata con Teresa Martino, la religiosa che ha raccolto l’eredità di fratel Ettore. Per lei “elemosina” è un file sempre aperto, vasto e sorprendente. Sorride, getta uno sguardo in questo suo repertorio infinito di “provvidenza all’improvviso”, e ne trae decine di episodi. Realtà concreta, impastata di croce e di resurrezione, perché da quando – 25 anni fa – ha incontrato il camilliano con la croce rossa sul petto, scomparso nel 2004 e per il quale nel dicembre scorso è stato aperto il processo di beatificazione, Teresa ha messo da parte il fascino della teoria per abbracciare, confortare e accompagnare la follia della sofferenza in tutte le sue varianti. E per lei, allora considerata giovane, promettente attrice teatrale, fu un radicale cambio di prospettive. «Come facciamo ad andare avanti? Viviamo di preghiera e di elemosina», chiarì subito fratel Ettore di fronte alle sue incertezze. Da quel giorno preghiera ed elemosina sono diventati anche i suoi punti cardinali. E vedere che ieri il Papa li ha indicati, insieme al digiuno, come stile di vita per il cammino di Quaresima, è apparso ai suoi occhi conferma e stimolo.
«In tanti anni accanto agli ultimi, ai più bisognosi tra i bisognosi – racconta – ho capito che la carità senza preghiera diventa quasi un gesto sterile, senza cuore ». Perché l’elemosina scateni davvero il calore dell’abbraccio al fratello che soffre, è importante uno sguardo di fede. «Ieri è capitata qui da noi, alla comunità di Seveso, una donna di mezza età. Mi ha messo in mano una busta. All’interno un assegno consistente. Di fronte al mio stupore ha spiegato che quello era l’importo per il funerale del marito». I medici avevano diagnosticato un cancro all’ultimo stadio. Poche settimane di vita. «Ma mio marito – ha raccontato la donna a suor Teresa – non poteva morire, abbiamo una figlia con una grave disabilità. Senza di lui non ce l’avrei fatta. E allora mi sono rivolta alla Madonna e le ho proposto uno scambio. Se mio marito fosse sopravvissuto, avrei dato in elemosina la cifra del funerale».
Sarebbe facile indignarsi. Ma come si può immaginare – direbbe qualcuno – un simile ricatto morale? Semplice. Basta fare affidamento alla fede semplice dei puri di cuore. E la grazia è arrivata. Di storie del genere la religiosa ne ha un repertorio infinito. “La provvidenza all’improvviso”, scherza ma non troppo, che dimostra proprio come dice il Papa, che preghiera ed elemosina vanno sempre insieme. Bussa per i grandi progetti, per esempio i rifugi e i centri di accoglienza messi in piedi da fratel Ettore tra Italia e Sud America senza una lira in tasca – per rimanere nella prospettiva della sua opera – ma anche per ogni incontro quotidiano con il povero che tende la mano. «Meglio qualche moneta donata con il sorriso e con una preghiera nel cuore – prosegue la religiosa – che una cifra importante elargita in modo asettico, evitando l’incontro personale ». Poi, certo dipende sempre dalle circostanze e dalle intenzioni. «Qualche giorno fa una coppia di ragazzi mi ha chiesto aiuto per un senzatetto. Lui, asiatico, musulmano. Lei, ucraina, ha precisato di essere atea». Vista l’impossibilità di pregare insieme, suor Teresa li ha invitati comunque a qualche minuto di silenzio. «Alla fine mi hanno abbracciato piangendo. Hanno capito, pur nelle diverse sensibilità, che la preghiera come l’elemosina sono necessità dell’anima».
© RIPRODUZIONE RISERVATA
L’esperienza
Il racconto di suor Teresa Martino, la religiosa che prosegue l’opera del camilliano: il sorriso moltiplica la forza del dono
I Camilliani su Facebook
I Camilliani su Twitter
I Camilliani su Instagram