In questo 2016 ricorre il centenario della nascita di Marcello Candia, morto nel 1983 dopo aver speso tutti i suoi avere e tutta la sua vita a servizio dei poveri e degli emarginati. Man mano che passano gli anni, la sua fama di Santità cresce e i benefattori, che credono nell’azione della Fondazione Candia, istituita da Marcello Candia stesso, continuano ad aumentare. I contributi che giungono in modo miracoloso sempre copiosi, permettono al Consiglio della Fondazione di incrementare la realizzazione di opere a favore dei poveri, degli ammalati e degli emarginati brasiliani. Don Mario Antonelli, consigliere della Fondazione, Missionario in Brasile per 6 anni, ha scritto per i nostri lettori un ricordo significativo del nostro carissimo Venerabile Marcello Candia.
Marcello Candia: una luce di santità che rischiara un secolo di oscurità di promesse.
Nasce poco dopo lo scoppio dell’”inutile strage” della grande guerra; muore poco prima di quel crollo di un muro che dovrebbe annunciare l’apparire di ponti di pace.
In uno scenario di ingiustizia civile ed egoismi nazionali, Marcello è stato un uomo giusto. Per lui “giustizia” significa stare al proprio posto: nella storia, nelle relazioni con gli altri, nel rapporto con Dio. da qui ecco la sua solerte applicazione agli studi; da qui la sua generosa frequentazione dei poveri e delle missioni. L’uomo giusto, infatti, sta al suo posto: che è la casa con i suoi affetti familiari, che è il mondo con le sue diversità e le sue povertà. Negli anni della conduzione dell’azienda cercava di unire sviluppo industriale e promozione delle maestranze; e ha cercato la giustizia anche nel dramma del disastro che praticamente cancellò la sua azienda. Infine continuò questa sua passione per la giustizia lasciandosi attrarre dal grido dell’Amazzonia, dalle attese di oppressi e scartati, chinandosi sui piccoli e sui poveri, come “buon samaritano” che fascia le piaghe dei tanti che giacciono come morti ai margini della società, come mano aperta di Dio che sazia la fame di ogni vivente.
In un secolo tanto ingiusto, la giustizia ha rivestito cuore e mani di Marcello. Uomini e popoli a contendersi potere, terre e ricchezze: Marcello apprende a non preoccuparsi del suo vestito e del suo cibo, né del suo domani: “Cercate prima il Regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno poste davanti” (Matteo 6,33). Familiarizzando con la giustizia di Dio, riconosce che “tutte le cose della vita”, il cibo, il vestito, il tempo, gli sono poste davanti; cercando di agire come Dio – il quale nulla possiede, ma tutto promuove – accoglie e gestisce i beni come dono, destinati non già a un possesso egoistico, ma al servizio di tutti. Chi ha testimoniato per la sua beatificazione ricorda che «per lui la vocazione missionaria era un senso di giustizia. In fondo lui diceva sempre: Io ho tanto ricevuto; questi hanno ricevuto di meno, quindi lo faccio per giustizia. Io non faccio niente di particolare, faccio qualcosa a cui sono chiamato per giustizia».
E “per giustizia” Marcello ha sentito che aiutare non bastava; mosso dallo Spirito di Dio, il suo cuore lo portava a condividere la vita dei piccoli e dei poveri in Amazzonia. Tutta la sua professionalità a servizio di una carità che si faceva presenza; “stando con loro” ascoltava con la passione materna di Dio i gemiti e le suppliche e con intelligenza creativa, “faceva con loro e per loro” le opere della carità. Nella sua solidarietà non c’era nemmeno l’ombra d’una compassione vaga e disimpegnata o di un’elemosina che copre ingiustizie clamorose; anzi, il suo dare beni e risorse esprimeva quel dare sé stesso che è l’arte di Dio. quando uno è maestro nell’arte di Dio, la sua santità stupisce e contagia: in vita e in morte.
Ma da dove gli veniva quest’arte? Da una cura quotidiana della vita cristiana. Nell’intimità con Gesù sentiva il dolore del mondo, il rantolo dei poveri e degli ammalati, il loro sospirare una vita dignitosa. Dalla sua mamma, da fra’ Cecilio, dai missionari incontrati, ma soprattutto dai poveri e dai lebbrosi aveva ricevuto l’abbecedario della santità; e lo leggeva, giorno dopo giorno, lo cantava come balsamo sulle piaghe dei lebbrosi. Nella preghiera Marcello educava l’orecchio del suo cuore a sentire ciò che geme nei bassifondi della terra e ciò che si intona in cielo. Poco prima della sua morte confidava: “quando sono arrivato a Macapà avevo molti mezzi economici perché avevo appena venduto il mio stabilimento e volevo impiegare tutto per fare un ospedale e altre opere. Ero un uomo religioso, ma con buoni mezzi e contavo molto su questi messi e sulla mia esperienza di organizzatore. Però quando ti trovi davanti a sofferenze vastissime e profonde, davanti a malattie che deturpano il corpo come la lebbra, davanti a casi umanamente disperati, allora ti accordi che se anche tu crei un’organizzazione ricchissima e perfettissima per curare i corpi non risolvi ancora i problemi di questa gente. Senz’altro bisogna usare i mezzi tecnici, bisogna creare ospedali, dispensari, lebbrosari, centri sociali efficienti; ma tutto questo non è nulla se non c’è la vera carità che viene da Dio se non c’è la donazione della propria vita al fratello. Ho capito insomma che la priorità assoluta è quella spirituale”.
Amico e fratello, lo veneriamo e vogliamo imitarlo: ancora oggi stupiti e contagiati.
Don Mario Antonelli
Consigliere della Fondazione Candia
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