Vorrei avere cento braccia … per poter fare agli infermi molto di più

«A guarire i malati – scrisse Giovanni Papini –
non bastano le medicine, occorre l’amore,
cioè l’alta temperatura dell’anima.
Febbre contro febbre,
spirito contro carne. Questo ha fatto S. Camillo».

cento bracciaMettete insieme, in una serata romana di inizio estate, un Santo vecchio di 400 anni (san Camillo); una gruppetto di suore (Figlie di San Camillo), un infermiere che ordinariamente lavora come ferrista in sala operatoria (Lucio D’Amico) ma anche particolarmente versato con lo spartito musicale e soprattutto innamorato della spiritualità del Santo di cui sopra, quattro giovani interpreti (Camillo, Filippo-un suo simpatico amico, un’infermiera post-moderna un po’ scettica sulla “terapia del cuore” ed un altrettanto moderno ingegnere gestionale) ed un gruppo di giovani ballerini … ed otterrete un musical straordinario sul nostro Grande Santo Fondatore della “nova schola caritatis”!

VORREI AVERE CENTO BRACCIA … per poter fare agli infermi molto di più! Questa era una delle tante frasi ripetute da quel lontano Camillo de Lellis, uomo d’armi e di gioco d’azzardo prima, uomo di fede e sacerdote poi.

Oggi, 400 anni dopo, questo musical vuole raccontare la grande passione di Camillo verso tutti gli infermi, quelli ricoverati in ospedale, quelli abbandonati e dimenticati nei vicoli e nelle piazze di Roma.

Nel dialogo tra presente e passato, Camillo apre una finestra su un meraviglioso panorama: la sua incredibile scoperta del malato, scoperta innescata dall’incontro con la frase del Vangelo che dice: “Se avete fatto tutte queste cose ad uno solo dei miei fratelli più piccoli l’avete fatto a me” (Mt 25,40).

Da questa scoperta scaturisce il desiderio e la missione di Camillo di servire l’infermo con più cuore nel emani e come una mamma verso il suo unico figlio infermo!

L’esperienza di Dio, vissuta da Camillo de Lellis, nel servizio al corpo malato di uomini mai prima visti e conosciuti, ha quattrocento anni: è nella notte della Assunta del 1582, tra le corsie dell’Ospedale S. Giacomo degli Incurabili di Roma, che Cristo Crocifisso si rivela a lui nell’umanità malata e sofferente, in una agonia e passione che continuerà fino alla fine del mondo, portandolo ad “instituire una Compagnia d’huomini pij e da bene che non per mercede, ma volontariamente et per amor d’Iddio gli servissero con quella charitá et amorevolezza che sogliono far le madri verso i lor proprij figlioli infermi ”.

L’ex mercenario della morte, una volta campione di violenza e di prepotenza, scopre l’uomo, l’altro da sé, solo quando scopre Dio, quando il Crocifisso non è più un pezzo sacro artistico, ma il grande e vivo libro attraverso il quale la dignità della natura umana, Incarnata dal Verbo, traspare gigante e intoccabile. L’uomo malato, da lui prima emarginato ed abbandonato, è ora l’incarnazione di Dio nello stato di flagellato e coronato di spine, inchiodato e trafitto sulla croce dal peccato dell’umanità, protesa perennemente alla soddisfazione edonistica del personale insaziabile egoismo. I gemiti e i lamenti degli Incurabili del S. Giacomo, da questo momento per lui discendono dal Golgota come suadente sinfonia, e lo trascinano in una esaltante adorazione del Crocifisso, mettendolo in ginocchio dinanzi ai più 10421405_854317241299959_3774810942258868316_nributtanti esemplari della carne in sfacelo, con la preghiera: “Signore mio, anima mia, che cosa posso io fare per te?”, in uno stato che è azione e contemplazione mistica allo stesso tempo. È il Servizio alla Salute vissuto come Amore Trinitario nella propria storia: “Come il Padre ha amato me, cosi anch’io ho amato voi; rimanete nel mio amore! Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io vi ho amati. Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici” (Gv 15, 9. 12-13).

La società rinascimentale ignorava tutta una lunga sequela di uomini e donne (la maggior parte!), li riteneva “invisibili” – non strettamente necessari allo sviluppo dell’Humanum – e come tali li ignorava. Conseguenza drammatica della cultura umanistica che, come si sa, esaltava “l’uomo” come essere eccellente e centro dell’universo. Ma a quale uomo mirava? L’uomo ideale, l’uomo eccezionale: l’uomo geniale, l’artista creativo, il principe forte ed astuto, l’invitto capitano di ventura, lo scopritore di nuovi mondi. Una élite aristocratica, anticipatrice del superuomo. In questo mondo culturale il poveraccio senza prestigio e senza potere, e per di più malato o malandato, non trovava alcuna considerazione. Camillo scopre questo uomo, anzi ne va in cerca, scopre che costui è un uomo a pari dignità di ogni altro uomo. Dopo la conversione vorrà servire Dio proprio in questo uomo e dedicandosi a tutto l’uomo nella consapevolezza, anticipatrice della modernità (medicina olistica, diritti del malato, …), che l’uomo malato entra in ospedale con tutto se stesso: il povero porta i suoi quattro stracci ma anche il suo spirito libero e immortale.

È il coraggio della non-rassegnazione al degrado e all’ingiustizia che nell’ospedale colpiva inevitabilmente i più deboli (nella consapevolezza che “i diritti dei deboli non sono diritti deboli”), i malati, e che si traduce in lui nel coraggio di rischiare lo spazio della propria tranquillità e, forse, della propria onorabilità. Camillo, Maestro di Casa, ha un ruolo e una posizione invidiabile, un alloggio e uno stipendio assicurato dopo tanto vagabondare da un esercito all’altro, un buon livello nella carriera amministrativa e strade aperte a più alti traguardi. Tutto questo viene giocato con lucida determinazione nella certezza che la carta vincente per la sua vita e per i suoi malati è un’altra.

Camillo de Lellis concretizza un facile accesso alla Redenzione, risalendo attraverso l’umanizzazione di Dio nell’incarnazione e crocifissione, alla fonte di esso che è l’unità fra il Padre e il Figlio nell’Amore reciproco. La scelta fatta in quella notte del 1582, è subito provocazione per una società che non accetta confronti e richiami al retto operare, e passa alla repressione; ma è anche proposta dello Spirito che coinvolge la comunità cristiana, la quale esprime una perenne testimonianza di vita, di uomini e donne, che accettano lo stile di vita inaugurato da Camillo de Lellis, sintetizzato e simboleggiato nella croce rossa di panno cucita sull’abito: “Tutti noi (…) siamo come schiavi venduti e dedicati per servigio de’ poveri infermi (…) che questa é Religione di Croce, cioè di morte, di patimento, di fatica: acciò quelli che vorranno seguitar il nostro modo di vita, si presuppongono di venir ad abbracciar la Croce, di abnegar se stessi, e di seguitar Giesù Christo fino alla morte”. Nella Chiesa è presente una novella Pentecoste: Camillo de Lellis è mandato da Dio a mostrare alla società umana, quale “eroico Atleta della Carità, fatto spettacolo … al mondo, agli Angeli e agli uomini” (1 Cor 4, 9), una “Nova Schola Caritatis ” che al di sopra delle strutture e degli interessi di parte e privati, metta al centro dell’attenzione della società, ed in particolare della medicina, l’uomo malato nella sua totalità psicosomatica, anticipando di secoli, — sotto l’influsso dello Spirito — le recenti conquiste dei diritti umani e i traguardi delle più moderne discipline della medicina.

La proposta di una nuova psicologia nell’accostare un malato, — con l’affetto di una madre per il proprio figlio ammalato — viene dall’ascolto diretto di Dio, che nel trattare con l’uomo piccolo e fragile, mostra una sensibilità di madre (Is 49, 14-15), e adopera per farsi intendere il parametro dell’amore umano più puro e più sublime. Alle soglie del terzo millennio della Chiesa, in un momento in cui “il mondo contemporaneo è minacciato in diversi modi … più di quanto sia stato in qualsiasi altro tempo nel corso della storia ”, dove la violenza e la privatizzazione sono diventate norme di vita, la scelta dell’essere a servizio della salute dell’uomo, non può non essere che nell’ottica del Cristo Crocifisso, presente nel dolore umano, trasformandolo in carità operosa come quella indicata da S. Camillo de Lellis, che porta ad accostare con Fede ogni uomo malato, valutato persona e non oggetto, al quale la compartecipazione e la solidarietà fraterna al suo dramma, dagli interrogativi inquietanti per il futuro, sono 10007524_854317497966600_7448182263042651208_nnecessarie tanto quanto — e in molti casi di più — le ricerche di laboratorio, le strutture moderne, gli elaboratori elettronici, e i più sofisticati ritrovati mezzi tecnici d’indagine sanitaria. La medicina moderna, proiettata verso traguardi che hanno sapore fantascientifico non può accantonare ed ignorare la realtà dell’uomo totale, nel suo composto psicofisico, sarebbe violenza e sottile terrorismo; l’uomo, anche quando è temporaneamente spogliato della salute, e quindi forzatamente coartato nella sua libertà d’azione, non abdica mai alla autodeterminazione delegando a chicchessia la scelta personale di atti che coinvolgono i dettami dell’etica e delle leggi divine.

Aborto, eutanasia, manipolazione genetica… sono operazioni allarmanti d’una pericolosa china dalle imprevedibili conseguenze, che tengono in atto già un clima di violenza in questo delicato e prezioso settore del consorzio umano, qual è la medicina, che da servizio alla salute si trasforma sovente in distruzione della vita, che a nessuno è lecito toccare perché dono di Dio agli uomini. Il medico cattolico, umile servitore della salute e non “signore” della medicina, è ministro dell’annuncio del Mistero del Verbo Incarnato nella storia della salvezza dell’uomo, in quest’era della conquista spaziale e della tecnologia, ogni volta che si accosta al malato con Fede e Amore, vivendo la Passione del Cristo Crocifisso come Camillo de Lellis, che nella notte dell’Assunta dei 1582 iniziò la meravigliosa avventura del servizio totale a Dio nei fratelli sofferenti con «quella charità et amorevolezza che sogliono far le madri verso i lor proprij figlioli infermi».

GALLERIA FOTOGRAFICA

TG regionale RAI3 – Servizio dedicato al Musica “Vorrei avere cento braccia”

CENTO BRACCIA

CENTO BRACCIA, CENTO BRACCIA IO

PER OFFRIRTI L’AMORE MIO

CENTO BRACCIA, CENTO BRACCIA IO

PER MOSTRARTI L’AMORE DI DIO

PER FARTI SENTIRE

Che sei un figlio amato e non verrai dimenticato,

in questo letto di dolore immerso tra le tue domande.

Tu sei un figlio importante sei l’immagine di Dio

e per questo tu sei mio e per questo io… VORREI AVERE …

 

CENTO BRACCIA, CENTO BRACCIA IO

PER OFFRIRTI L’AMORE MIO

CENTO BRACCIA, CENTO BRACCIA IO

PER MOSTRARTI L’AMORE DI DIO

PER FARTI SENTIRE

 

Che sei un figlio amato e che verrai consolato

dalle cure premurose di una madre che ti dice

che sei un figlio importante sei l’immagine di Dio

e per questo tu sei mio e per questo io… VORREI AVERE …

 

PIU’ CUORE NELLE MANI

PIU’ CUORE NELLE MANI, PIU’ CUORE NELLE MANI,

PERCHE’ DIETRO L’INFERMO C’E’ IL SIGNORE

PIU’ CUORE NELLE MANI, PIU’ CUORE NELLE MANI,

PERCHE’ A FAR LA CARITA’ NON SI SBAGLIA MAI.

Vorrei avere cento braccia,

per arrivare a fare molto di più,

vorrei avere mille lingue,

per far conoscere il Signore a tutti gli uomini…

che vivono il dolore con l’angoscia,

e non sentono più nel cuore la speranza,

che credono la vita è solo sofferenza,

e non hanno più la voglia di vivere ancora. (Rit.)

 

Vorrei avere il miele in bocca,

ed il rasoio tra le mie mani,

vorrei davvero amare il Signore,

amando tutti i poveri che ho davanti…

senza mai dimenticare che,

dietro quell’uomo che tende la sua mano,

c’è il Signore che chiede il mio aiuto,

e attende da me più cuore nelle mani. (Rit.)

 

COME UNA MAMMA

Se Dio, non mi avesse messo la mano in testa io,

sarei peggiore di chiunque altro,

capace solo di pensare a me stesso,

e a nient’altro, e invece:

no che non mi sono mai curato di me stesso,

ma ho pensato solo a dare lode e gloria al Signore.

Se nel cuore mio non c’è umiltà,

non può sussistere alcuna altra virtù.

 

COME UNA MAMMA VERSO IL PROPRIO FIGLIO

COSI’ IO VOGLIO CHE AMIATE IL SIGNORE

NELLE VESTI DI CHI ORA E’ INFERMO

PERCHE’ IN LUI ABITA IL SIGNORE.

VORREI AVERE ALMENO CENTO BRACCIA

PER ARRIVARE A FAR MOLTO DI PIU’

ED IO VI PREGO, PIU’ CUORE NELLE MANI

E VI ASSICURO CHE NON SBAGLIATE MAI

 

Se Dio, non avesse avuto mai pietà di me,

sarei un peccatore, un mendicante,

capace solo di fermare la corrente,

dell’amore, e invece:

no che non mi sono mai curato di me stesso,

ma ho pensato solo a dare lode e gloria al Signore.

Se nel cuore mio non c’è umiltà,

non può sussistere alcuna altra virtù.

 

AMERAI

Amerai, il Signore tuo,

con tutto il cuore,

l’anima e la mente.

Amerai, il prossimo tuo,

come se, amassi te stesso:

quello che avete fatto ad uno dei più deboli,

l’avete fatto a me,

e allora più cuore nelle mani,

più cuore nelle mani.

Se nel mondo non ci fossero i deboli,

bisognerebbe cercarli,

bisognerebbe trovarli.

Se nel mondo non ci fossero infermi,

bisognerebbe stanarli,

e cavarli dalla terra:

Se nel mondo non ci fossero i deboli,

bisognerebbe cercarli, bisognerebbe trovarli.

Se nel mondo non ci fossero infermi,

bisognerebbe stanarli e cavarli dalla terra:

Amerai, il Signore tuo,

con tutto il cuore,

l’anima e la mente.

Amerai, il prossimo tuo,

come se, amassi te stesso:

quello che avete fatto ad uno dei più deboli,

l’avete fatto a me,

e allora più cuore nelle mani,

più cuore nelle mani.

per fare loro il bene, per fare loro il bene.

per fare loro il bene, per fare loro il bene.